Il giusto allarme per la chiusura sempre più frequente che importanti strade, a causa delle frane, deve indurre oggi a riflessioni un po’ meno retoriche e rivendicative di quelle che correvano un tempo, per mettere in campo strategie di contrasto un po’ più ragionate e concrete.
Il solito “piove governo ladro” fa sempre presa sul momento e trova ancora spazio il protagonista parolaio di giornata che recita la parte.
Ma il copione è frusto e non fa piovere soldi. Soldi che comunque prima o poi arrivano, ma -questo è il punto - sempre e solo col contagocce.
Vent'anni fa, in fondo, si poteva pensare - persino con qualche fondamento - che molte frane da sistemare potessero significare reddito d'impresa e posti di lavoro in montagna, indotti da un'accresciuta spesa pubblica. Ora, oggettivamente, no.
Bisogna cambiare l’approccio: fare risultato utile con meno consumo di risorse, tenere aperte le strade senza pretendere impossibili e definitive messe in sicurezza... In altre parole bisogna convivere con le argille e con le loro caratteristiche, senza pretendere di trasformarle in granito...È impossibile e...non sarebbe un affare! Le argille sono croce e delizia del nostro Appennino, perché sono base delle foraggere del parmigiano reggiano e non solo permeabilità alle acque, fragilità e insicurezza per la stabilità dei versanti.
Le frane censite sono decine di migliaia. Il concentrarsi delle precipitazioni in periodi, in eventi più forti e la moltiplicazione delle infrastrutture viarie fa sì che questo fenomeno antico - assolutamente naturale -sia diventato più che un semplice problema: è talvolta una calamità e, sempre più spesso un onere troppo pesante per gli attuali bilanci pubblici.
L’idea di una prevenzione onnipotente, sempre attraente è in gran parte velleitaria. Si può fare qualcosa e si può fare meglio. Ma nessun progetto e nessuno stanziamento potranno davvero cancellare o ridurre fortemente un fenomeno naturale come questo.
Per le nostre argille, sicuramente, la ripresa di una più diffusa e capillare coltivazione dei versanti può essere più importante d’interventi d’idraulica realizzata con costose opere pubbliche.
Sostenere la conduzione agricola di tanti terreni non utilizzati può avere una diretta ricaduta occupazionale/produttiva e, insieme, effetti permanenti sul controllo delle acque e sulla stabilità dei versanti: un doppio, triplo dividendo. Il prossimo Piano di Sviluppo Rurale dovrà essere meglio orientato in questa direzione se vorrà davvero essere una politica d’investimenti e non di consumi pubblici mascherati, come sono certe opere utili soprattutto per chi le esegue.
Una moderna “bonifica” questo e non altro dovrebbe essere. Un approccio del genere è maturo e giusto. Anche se non basterà e, nel breve e medio termine, non avrà effetti diretti visibili, come invece ben visibili sono effetti di frane e interruzioni di strade.
Sul versante toscano abbiamo avuto la SS63 chiusa per molti mesi nell’inverno 2012/2013, poi anche recentemente per qualche fine settimana. Sul versante emiliano a valle di Vetto sono state chiuse la provinciale per Neviano degli Arduini e quella per Canossa – San Polo, per periodi non proprio brevi.
In casi come questi le chiusure “temporanee” sono veramente disagevoli per molti; e sono pericolose oltre il tempo stesso del disagio, perché inducono una sensazione d’incertezza e precarietà che non spinge certo a investire in Appennino.
In questo contesto poco roseo, bisogna però rilevare un fatto positivo: a differenza di altre parti del paese (area vesuviana, costiera Amalfitana, Valtellina, eccetera) e dello stesso Appennino ( per esempio Alta Lucchesia, Garfagnana Lunigiana) mai si sono registrate vittime. Un po’ sarà fortuna … Ma la ragione più vera sta nel fatto che gli smottamenti di argilla sono piuttosto lenti e che danno il tempo di mettersi in sicurezza.
Per questo -nelle situazioni di emergenza - si potrà, con un razionale “approccio di rischio” (cioè l’accettazione di un rischio ragionevole anziché la resa al rifiuto di assunzione di eventuali responsabilità), evitare prolungate chiusure d’arterie di comunicazione.
Le frane in fondo sono in gran parte assestamenti. Una volta scese … si stabilizzano per lunghi periodi e sono “attraversabili”. Ciò dovrebbe indurre in più di un caso a un approccio più flessibile. Le soluzioni “definitive” sono sempre costosissime e spesso (come si è dimostrato recentemente) non sono affatto definitive. Le argille non sono marmo. Su di esse non si sta fermi, ma si può talvolta “galleggiare” … I limiti oggettivi delle risorse ( oggi di molte volte inferiori a quelle disponibili 20 anni fa) e l’opportunità di non chiudere percorsi quotidianamente necessari devono a mio parere suggerire la ricerca di una visione aggiornata. Qui e anche a livello nazionale.
Un margine d’incertezza anche nel condurre questa ricerca va lasciato aperto e accettato. Partirei da un’interessante legge della regione Toscana per l’utilizzo dei terreni abbandonati. Ragionerei con economisti, geologi e progettisti di opere pubbliche. Serve un ragionamento interdisciplinare per ottimizzare le risorse e minimizzare i disagi. Agricoltura, ambiente, territorio non sono separabili.
Fausto Giovanelli
Presidente, Parco Nazionale Appennino Tosco Emiliano