Gli esperti del Wolf Apennine Center (WAC) del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano hanno incontrato gli amministratori dell’alto Appennino reggiano, in occasione di una recente seduta del Consiglio presso la sede dell’Unione montana dedicata alle criticità legate alla presenza del lupo nel territorio. Obiettivo è stato quello di accrescere la conoscenza sui fenomeni più critici legati alla presenza del lupo e dare avvio a un percorso istituzionale di confronto tra Unione dei Comuni e Parco Nazionale.
La seduta, convocata nella formula del Consiglio aperto e dunque con possibilità di partecipazione attiva anche da parte di cittadini non consiglieri, ha visto la presenza, oltre al presidente dell’Unione Enrico Bini e agli amministratori della montagna (sindaci, assessori, consiglieri comunali e dell’Unione), anche dell’esperto Willy Reggioni, coordinatore del WAC, del presidente del Parco Nazionale, Fausto Giovanelli, dei sindaci dei Comuni di Baiso e Canossa, e di alcuni operatori della zootecnia della montagna. L’incontro è stato coordinato dalla consigliera dell’Unione Lucia Manicardi.
Dopo avere illustrato origini, consistenza e distribuzione della popolazione lupina in Appennino e nelle aree circostanti, Reggioni ha risposto alle numerose domande che gli sono state poste sia in relazione ad aspetti afferenti biologia ed etologia del lupo che rispetto al quadro normativo e agli scenari e strategie possibili per la gestione e il contenimento delle presenze e delle criticità correlate, compreso il problema dell’ibridazione che il Parco affronta nell’ambito del Progetto LIFE MIRCO-Lupo finanziato dall’Unione Europea.
Il tema che maggiormente preoccupa gli amministratori si è confermato essere quello della potenziale pericolosità della specie che nel comprensorio dell’altro reggiano ha sviluppato comportamenti problematici che stanno destando allarme sociale e politico. Si tratta prevalentemente di predazioni di cani domestici in prossimità delle abitazioni e di frequenti avvistamenti di lupi anche a distanze ravvicinate a centri abitati o abitazioni di campagna.
Il pensiero diffuso che non si tratti di esemplari puri della specie Lupo bensì di soggetti frutto di ibridazione con cani e che da ciò derivino i comportamenti sopra descritti non troverebbe riscontro, secondo l’esperto, nei dati rilevati dalle indagini genetiche che puntualmente il WAC fa realizzare su soggetti catturati o su campioni biologici raccolti nel territorio. “Le analisi genetiche su campioni invasivi (sangue) e non invasivi (escrementi) condotte presso il laboratorio di genetica molecolare dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ha spiegato Reggioni – evidenziano che il problema dell’ibridazione purtroppo esiste anche in Appennino settentrionale, ma che in realtà si tratta di ibridi introgressi, ovvero di animali appartenenti a generazioni molto successive a quella che deriva dall’accoppiamento tra un cane e una lupa. Non si tratta infatti di ibridi di prima generazione (mezzi cani e mezzi lupi) e neppure di seconda generazione bensì di animali reincrociati più e più volte con i lupi puri per cui presentano solamente tracce del patrimonio genetico del cane e sono molto spesso indistinguibili dai lupi puri. Si tratta pertanto di un problema che attiene esclusivamente alla conservazione del patrimonio genetico del lupo puro che è frutto dell’evoluzione naturale e che rischia di essere definitivamente compromesso in conseguenza del meccanismo del reincrocio tra lupi ed ibridi”.
“Per quanto riguarda il comportamento di questi animali ibridi – ha proseguito – va detto che, crescendo nel branco, acquisiscono in tutto e per tutto abitudini ed atteggiamenti macroscopici tipicamente da lupi, in sostanza non hanno nulla che li differenzi dai lupi puri e come tali si comportano, essendo animali culturali. Ciò che va però attentamente monitorato è il comportamento dei lupi in contesti fortemente antropizzati e quello delle persone che in questi contesti vivono”.
Da quanto è emerso nel corso dell’incontro, il tema della confidenzialità e dell’avvicinamento alle abitazioni troverebbe infatti origine piuttosto in alcune pratiche umane che hanno per conseguenza quella di attirare gli animali in contesti antropizzati dove questi ultimi avrebbero accesso facile a risorse trofiche, risorse che il lupo non disdegna affatto ma, al contrario, impara opportunisticamente ad utilizzare. Reggioni ha insistito su questo punto: “È questo fenomeno, chiamato ‘abituazione’, quello su cui dobbiamo concentrare le forze per scongiurare incidenti. È vitale mantenere la distanza tra noi e il lupo, quella diffidenza che la famiglia trasmette alla prole insieme a tutte le altre ‘istruzioni’ per la sopravvivenza e che almeno negli ultimi duecento anni ha portato a zero gli episodi di aggressione verso di noi. Dobbiamo evitare di avvicinarli, invece si osservano situazioni in cui persone (consapevolmente o inconsapevolmente) alimentano i lupi, a volte direttamente, a volte lasciando cibo incustodito. Anche la pratica dei cani alla catena di notte senza sorveglianza o alcuna forma di protezione, pratica peraltro vietata dalla normativa regionale, è assolutamente da evitare”.
Per quanto riguarda lo stato della normativa, ricordiamo che il Lupo è specie “strettamente protetta” secondo la Convenzione di Berna (Convention on the Conservation of European Wildlife and Natural Habitats) del 1979 e “particolarmente protetta” secondo la direttiva europea Habitat (92/43) del 1992, mentre in Italia è la legge n.157 del 1992 sulla caccia ad includerlo definitivamente nell’elenco delle specie "particolarmente protette" e non ammissibili a prelievo venatorio.
“Non sono dunque possibili oggi – ha spiegato Reggioni – né da parte del Parco né da parte delle Regioni, interventi di controllo diretto del lupo, a meno che il Ministero dell’Ambiente non decida d’intraprendere azioni in regime di deroga, che è ammessa dalla stessa direttiva Habitat. A livello nazionale se ne sta ragionando, ma una soluzione che, qualora venisse confermata, dal punto di vista dell’efficacia lascia molti esperti alquanto perplessi. Per quanto riguarda il nostro territorio stiamo monitorando attentamente il fenomeno per poterlo rappresentare nella sua reale dimensione nei contesti istituzionali preposti a scegliere eventuali soluzioni gestionali, che ripeto ad oggi non sono in capo al Parco nazionale”.
“A fronte delle informazioni che abbiamo acquisito stasera – ha concluso la consigliera Manicardi – stante il quadro normativo vigente e nell’attesa che se ne conoscano le evoluzioni, quello che possiamo e dobbiamo fare come amministrazioni è lavorare sui due aspetti critici che sono emersi: quello dell’‘abituazione’ del lupo all’uomo, promuovendo azioni di contrasto alle pratiche antropiche che avvicinano gli animali agli abitati e alle persone, e quello della gestione corretta dei cani, necessaria per ridurre il fenomeno del vagantismo e per metterli al riparo dalle aggressioni. È importante veicolare queste informazioni con ogni mezzo possibile e in stretta collaborazione con il WAC, già da tempo impegnato in un’intensa e capillare opera di sensibilizzazione e comunicazione sui temi legati alla convivenza tra uomo e lupo. Occorre attivare un confronto costante con questo ente, eventualmente individuando come interlocutore il costituendo gruppo di lavoro dell’Unione sull’ambiente”.
Infine il presidente Giovanelli, nel rimarcare che le strategie per la gestione del Lupo fanno capo ad enti sovraordinati all’ambito locale, ha sottolineato la necessità di affiancare alle iniziative di comunicazione azioni di approccio diretto agli attori locali a vario titolo interessati, affinché la diffusione delle buone pratiche necessarie al momento per ridurre i fattori di rischio sia il frutto di un processo il più possibile condiviso, concordato e partecipato dalla comunità.