di Fausto Giovanelli

( Sassalbo, 03 Novembre 2016 )

Siamo vicini al Parco Nazionale dei Monti Sibillini in questo momento. Ci sentiamo proprio lì, sulla frattura che spezza il Monte Bove e nella sede del Parco, dichiarata inagibile. Siamo lì, nei paesi con le persone che rimangono e resistono di notte nelle auto, nelle tende, vicino alle loro stalle o ai piccoli negozi, mentre i più hanno potuto/dovuto andarsene al mare, in albergo,con tristezza​. 

Prendersi cura dell'Appennino oggi è fare i conti con il rischio sismico e con le sue implicazioni attuali e quelle sul futuro. Farli davvero, farli in modo nuovo. Farli oltre la commozione e la solidarietà del momento, con la passione duratura dell'intelligenza,con il riesame critico e costruttivo delle esperienze del passato,con la “ottimistica” consapevolezza della nuova potenza dei mezzi a disposizione oggi, che vanno dalle accresciute conoscenze tecnico – scientifiche, alla possibile “radiografia” dei singoli edifici, alle risorse economiche pubbliche...e private : quelle dei singoli e delle famiglie che - anche se parliamo di crisi dall'alba al tramonto - sono sicuramente 10 volte superiori a quelle di cinquant’anni fa.

Bisogna voltare pagina e si può.

E’ lunga la storia dei terremoti in Appennino. Ricordiamo l'Irpinia e il Belice, ma anche il Friuli, Assisi e l’Emilia. Ricordiamo Fivizzano,Sassalbo e la Garfagnana con i loro morti del 1920, e le scosse e i danni di pochi mesi fa. A volte la ricostruzione non è bastata,perché l’abbandono ha lasciato i borghi ricostruiti vuoti di persone e di attività. Dal passato bisogna apprendere, per proseguire nelle esperienze migliori,cambiare là dove si è fallito, innovare alla luce delle nuove opportunità. 

L'Appennino, le” terre di mezzo”, un’ Italia di antica civilizzazione, dimenticata negli ultimi 50 anni sono tornati loro malgrado al centro dell'attenzione. Le centinaia di scosse, fortunatamente senza vittime,di questi giorni, ci impongono di fare i conti coi bisogni più elementari e quotidiani di vita di chi non ha più casa, bottega,  lavoro o attività. Ma ci richiedono anche di fare i conti con il futuro possibile di queste terre. E, per questo,di fare i conti con le scelte e le responsabilità dei governi a tutti i livelli e anche-o forse prima di tutto-con noi stessi, con le nostre scelte e responsabilità di abitanti e cittadini.

Il rischio “scomparsa”/abbandono di zone d’Appennino citate nei giornali e nei telegiornali solo in occasione delle calamità è oggi molto serio,perché i terremoti  demoliscono le strutture fisiche,ma anche le non meno fragili economie di questi luoghi,demolisce coi beni materiali anche lo spirito e la resilienza di  popolazioni e territori di questa parte d’Italia,dove ci sono le testimonianze e le radici di tanta cultura nazionale ed europea,ma anche gli effetti di una lunga marginalizzazione,legata ai modelli economici e culturali prevalenti nell’Italia del boom .

Ora, nel dramma in corso, è importante comprendere subito, oggi e non domani, che non basterà ricostruire case e paesi come erano prima. Occorrerà anche costruire di nuovo un’anima: cioè un senso di appartenenza al territorio non rivolto al passato, delle opportunità economiche di attualità, e una voglia di interpretarle. Occorrerà costruire - per dirla con Attilio Bertolucci - “una terra” dove “fermarsi”, una “terra per viverci”, un’attrattività dei modelli di vita e relazioni che propone.

Questa è la sfida che sta emergendo. E’ una sfida nazionale nella quale l’Appennino è al centro. E non può esservi solo come oggetto … oggetto delle politiche, delle provvidenze, dei finanziamenti, della ricostruzione.  Ne deve essere anche il soggetto. Dunque per una volta prima di parlare delle scelte e delle responsabilità dei governi parliamo anche delle nostre scelte e delle nostre responsabilità: come investire? Come consumare? Come intraprendere? Quali sono le priorità dei privati e delle famiglie? Cambiare l’auto ogni 3 anni o piuttosto migliorare le abitazioni? Immobilizzare i risparmi o investirli in attività di cura, dei centri,della campagna, della terra, del territorio? Le risorse non sono infinite, né quelle pubbliche né quelle private;e se entrambe non convergeranno a mettere in valore le risorse storiche e attuali delle aree d’Appennino ,non si vincerà la sfida fondamentale.

 Certo – per una volta le abbiamo lasciate per seconde – servono anche le scelte politiche, quelle pubbliche e dei governi: soldi per la prima assistenza e i danni, un piano Casa Italia, la micro zonazione sismica,il bonus dell’85% per la messa in sicurezza degli edifici, e l’impegno ben mirato dei fondi europei.  

Anche le politiche per le Aree Interne, che stanno impegnando i nostri territori di Parco in Toscana ed Emilia, sono un approccio importante, da cui apprendere, in cui sperimentare  e da potenziare.

Il governo ha un ruolo fondamentale, non tanto nel “trovare soldi” – che come ha già assicurato “ci sono” – ma nell’impegnare a 360° tutti i livelli della politica e delle istituzioni  verso progetti non assistenziali, ma creativi e di supporto alle imprese, ai giovani, alle cooperative di comunità, ai comuni. Servono detrazioni fiscali mirate e credito erogato a chi ne ha bisogno- con discernimento ma senza lesinare-e a chi si assume iniziative e responsabilità. Le prime operazioni di costruzione e ricostruzione edilizia possono supportare la tenuta del tessuto esistente. 

Contemporaneamente se si vuole evitare il rischio di edificare oggi paesi vuoti già domani, si devono potenziare operazioni di sostegno all’agricoltura di montagna e ai nuovi turismi della natura,alla costruzione e ricostruzione di un capitale umano, attrezzato e motivato ad affrontare, anche nelle aree rurali, la sfida del tempo di oggi.  Le politiche per le Aree Interne vanno potenziate, selezionate e, ove di successo, moltiplicate per 10, controllando la sostanza dei risultati e liberalizzandone le procedure, affidandosi (e prendendone il rischio) alla responsabilità e capacità delle persone,  piuttosto che alle forme di altri 100 regolamenti. Se riuscirà un’operazione di questo genere non sarà un costo; sarà una risposta seria all’abbandono dell’Appennino e la riscoperta di una risorsa  ora sotto utilizzata,di un patrimonio grande,di valore e cosparso di gioielli,come è in effetti,in tanta parte,l'antico insediamento rurale  italiano.

Fausto Giovanelli, presidente del PNATE

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Il Crinale corre sul filo dei 2000 metri.
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Oggi sempre di più sono turisti ed escursionisti, con gli scarponi, con i bastoni, con le ciaspole o i ramponi, con gli sci e con le biciclette. Ognuno può scegliere il modo di esplorare questo mondo, da sempre abitato e vissuto a stretto contatto con la natura e le stagioni che dettano ogni giorno un'agenda diversa.

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