- Partenza: Ligonchio (942 m) (Ventasso)
- Arrivo: Ligonchio (Ventasso)
- Tempo di percorrenza: 8 ore 30 minuti
- Difficoltà: E+ - Escursionistico+
- Dislivello: 990 m
- Quota massima: 1839 m
- Segnavia: segnato 633 - 00 - 631 - 615 - 623 - 635
- Periodo consigliato: da giugno a ottobre
- Località attraversate: Ligonchio - Tarlanda - Presa Alta - Passo Romecchio - rif. Bargetana - rif. Battisti - Veline - Lama Cavalli - Prati di Sara - Cascate Lavacchiello - Presa Alta - Presa Bassa - Ligonchio
- Comuni interessati: Ventasso
Doppio anello nell’alta Val d’Ozola, che separa la catena del Cusna dal crinale appenninico, nel cuore del Parco nazionale.
L’Ozola si scava una profonda gola attraverso le bancate stratificate di arenaria per uscire dall’alta valle e aprirsi la via tra i campi, boschi e borgate fino al Secchia. Gola detta “Gli Schiocchi”, come le gemelle del Secchia e del Riarbero, ma più profonda, imponente, stretta da alti dirupi, dove anche le opere idroelettriche degli anni ’20 si mimetizzano, spariscono nel grandioso ambiente naturale, nonostante anni di lavori con migliaia di operai, una ferrovia, decine di gallerie e tubazioni…
Tra gli angoli più belli troveremo il Passo di Romecchio, il Lago della Bargetana, Il Passone, i Prati di Sara, la gola e le cascate del Lavacchiello. Pernottando in uno dei rifugi, potremo diluire l’impegno ed aggiungere una salita al M. Prado. Oppure dividere il tutto in due escursioni più brevi, salendo in auto alla Presa Alta per quella più elevata.
Ligonchio sorge ai piedi del Monte della Croce diviso in tre borgate (La Ruga, La Valla e Ligonchio di Sopra) poi unite da una cortina di abitazioni sorte lungo la strada provinciale costruita negli anni ’20. Il toponimo poco usuale viene fatto risalire a radici liguri o bizantine, e fu reso scritto in diversi modi nei secoli, anche se il termine dialettale Algùnc sembra il più fedele all’origine. Il castello (ora scomparso, ma ritenuto per tradizione posto sulla cima del Monte della Croce, che domina il borgo) con il suo territorio fu donato alla Badia di Frassinoro nel 1076 da Matilde di Canossa, poi fu dominato dai Dalli di Piolo fino alla costituzione dello Stato Estense. I lavori del complesso idroelettrico iniziarono nel 1919 e durarono quasi 10 anni per il completamento di due centrali (Ligonchio e Predare), alimentate dai bacini dell’Ozola e dei suoi affluenti, mediante opere di presa e condotte, costruite con l’aiuto di una ferrovia a cremagliera da Ligonchio a Tarlanda, poi scavata sui fianchi degli Schiocchi fino alla Presa Alta, lo sbarramento più alto. Per i primi anni no esistevano strade, e in attesa della loro costruzione i materiali venivano inviati a Ligonchio da una lunga teleferica da Busana e Cinquecerri, che fu utile anche per portare gli aiuti dopo il terremoto del settembre 1920. I grandi edifici liberty della centrale sono oggi aperti a visite didattiche ed eventi culturali. In uno degli edifici annessi ha trovato posto per alcuni anni un centro visita del parco regionale del Gigante, e vi è in progetto una sede del Parco nazionale.
Dopo un giro attraverso il paese si sale al nucleo di Ligonchio di Sopra 982 m, e in uscita dal paese verso Pradarena si nota a destra l’oratorio di S. Rocco (datato 1575 e restaurato nel 1634, dopo la grande peste, da cui S. Rocco era ritenuto protettore). A sinistra invece si volta per uno stradello (indicazioni per il rif. Bargetana) asfaltato che sale tra le case più alte. Pochi minuti dopo la strada pianeggia a destra e si prosegue invece a sinistra in salita su carraia (segnavia 633). Presto si immerge nella bassa boscaglia a nocciolo, biancospino, corniolo, ciliegio, sambuco nero e acero montano tipica delle siepi cresciute attorno ai coltivi abbandonati. Dopo un tornante si esce di nuovo sulla stradella asfaltata che si segue a sinistra.
Si sottopassa ora il grande tubo della condotta forzata che scende verso la centrale idroelettrica, affiancato dai binari della ferrovia a cremagliera, utilizzata fino agli anni ’60 per il materiale e il personale di custodia delle Prese. Una deviazione a sinistra su tracce di sentiero può farci affacciare su uno spuntone di calcari triassici (Il Groppo) a vedere l’opera e il panorama su Ligonchio.
Si prosegue in salita sulla strada, e con un doppio tornante ci si affianca alle opere del bacino di raccolta di Tarlanda 1240 m (0.40), poi si attraversa il tracciato della ferrovia “decauville”: si riconosce per i segnavia del sent. 633 che girano a sinistra lungo di essa.
A destra invece il tracciato ferroviario (ora coincidente con il sent. 641) termina a pochi minuti presso ripetitori, ma in passato qui era la stazione di arrivo della ferrovia, con una piattaforma girevole visibile fino a pochi anni fa assieme a diversi vagoncini: le poche testimonianze concrete della storia e del lavoro di generazioni sono state purtroppo cancellate pochi anni fa dalla memoria e dal territorio. Qui si scambiava il carico tra la “decauville” e la ferrovia a cremagliera che scendeva alla sottostante Centrale idroelettrica di Ligonchio (i binari vi sono ancora, a differenza della “decauville” in piano). Ancora qui a Tarlanda vi fu un’importante postazione dei partigiani durante il 1944 e soprattutto il 1945, a difesa della Centrale di Ligonchio, che fu salvata dalla distruzione per mano tedesca.
Imbocchiamo quindi a sinistra il tracciato della vecchia ferrovia a scartamento ridotto, che procede in piano attraverso la faggeta. Ma ben presto ci si affaccia sul baratro degli Schiocchi, attraverso cui era stata scavata, a oltre 300 m dal fondo e 150 m al di sotto della mulattiera (ora strada) del Passo del Gatto.
Lo splendido percorso intagliato negli strati potenti delle arenarie del Cervarola permettono di ammirare la gola degli Schiocchi, individuare di fronte il groppo detto Schiocco Nero, costellato da esemplari di abete bianco spontaneo, cercare di indovinare il solco delle cascate del Lavacchiello, il tutto dominato dal M. Cusna, cercare il volo dell’aquila (una coppia nidifica qui da anni).
Un sentierino segnato a sinistra scenderebbe direttamente con due tornanti sul sent. 635 di ritorno, abbreviando notevolmente il percorso. Un altro lungo tratto nella faggeta ci porta, facendo attenzione a tratti in corso di risistemazione, al nuovo ponticello in legno sul Fosso del Rimale 1240 m 608193E-4904972N (0.30-1.10), che ha da poco sostituito l’antico ponte ferroviario crollato da decenni.
Risaliamo ora ad un’area di sosta con tavolini e a destra alla soprastante strada forestale: a sinistra ci porterebbe in 15’ alla Presa Alta (sul sentiero di ritorno, per chi voglia dividere l’escursione). Noi invece la seguiamo pochi metri a destra poi saliamo a sinistra sul sent. 633, che riprende la vecchia mulattiera che per il Passo di Romecchio portava in Garfagnana.
Ammiriamo qui la faggeta ad alto fusto che ammanta ora i fianchi della val d’Ozola, ricostituita dalle maestranze forestali dopo le distruzioni dei due periodi bellici. Ora la faggeta si presenta fitta e possente, con la maggior parte degli alberi sui 50-60 anni. Dopo pochi minuti di salita si nota un ripiano in basso a sinistra 608522E-4904952N, presso cui sporgono appena dal terreno e dal fogliame resti di un muro perimetrale di edificio: non era una capanna qualsiasi, ma della Baracca del Corno, una sorta di osteria che era sorta lungo la via mulattiera per la Toscana e poco distante dagli affollati cantieri delle opere idroelettriche negli anni ’20. I vecchi narravano ancora delle avventure e delle bevute, dell’ostessa e compagnia bella. Sembra incredibile in pochi metri quadrati nel bosco, cancellati ormai anche dalla memoria.
Poco dopo ci si imbatte in un primo bivio con il sent. 639 (1338 m 608582E-4904843N), che si lascia a destra in salita. Ma solo dopo 300 m si trova un secondo bivio con il sent. 639 (1375 m 608798E-4904881N), e qui si lascia a sinistra in discesa verso la vicina Presa Alta. Manteniamo sempre il sent 633: la salita regolare ci conduce nella faggeta fino ad un bivio a c. 1525 m 608788E-4904049N, dove si lascia a destra un sentiero di collegamento con il sent. 639. Si prosegue sempre sul 633 in falsopiano fino alla radura detta Lago del Capriolo 1510 m 609054E-4903808N (0.50-2.00), piccolo bacino stagionale di origine glaciale, prosciugato negli anni ‘50 dai lavori forestali di bonifica per allargare i terreni a pascolo.
Si segue ora questa antica mulattiera che metteva in collegamento Ligonchio con Soraggio attraverso il Passo di Romecchio. Il tracciato fu sistemato durante i lavori forestali per l’avviamento ad alto fusto della faggeta, poi ripristinato con un piano di restauro delle mulattiere storiche nel 1989. Dopo il Lago del Capriolo si entra nel Bosco di Soraggio, denominazione che suggella secolari diritti, a lungo contestati, della garfagnina Soraggio sul territorio a nord del crinale.
Ancora in saliscendi si supera una fonte e poi si varca il Fosso di Soraggio, iniziando poco dopo a risalire sulla destra, (diritto la carraia principale porta ll strada forestale, che a destra e con un lungo tornante, raggiunge il rif. Bargetana) e di nuovo con risvolte nella faggeta, superando ruscelli e spuntoni di arenaria, si esce tra radure al Passo di Romecchio 1680 m 609961E-4902751N (0.30-2.30).
Importante varco per la transumanza estiva dei pastori e boscaioli di Soraggio in Garfagnana, che per secoli sfruttavano l’estesa alta val d’Ozola. Alcune pietre incise da pastori nel secolo scorso lo testimoniano. Un’importanza rimarcata dall’Oratorio di S. Bartolomeo, ricostruito da un decennio dopo anni di abbandono e le distruzioni della guerra (i tedeschi salirono qui durante il rastrellamento di fine luglio 1944, cannoneggiando anche il rifugio Battisti).
Trascurando i sentieri che qui convergono dai due versanti, imbocchiamo a sinistra il sent. 00 di crinale, che ora è su una carrareccia. Si risalgono così i fianchi del M. Ravaianda 1761 m, che si raggiunge tra radure e faggeta cedua. Una breve discesa verso SE ci conduce al Passo della Focerella 1743 m 610314E-4902272N (0.30-3.00).
Anch’esso era un importante passaggio per le greggi e i commerci della valle di Soraggio: mentre il Romecchio la collegava a Ligonchio e alla val Secchia fino al mercato di Castelnovo, la Focerella conduceva per Lama Lite e il Passone in Val d’Asta, quindi verso la val Dolo e i centri importanti di Minozzo, Toano e Carpineti.
Variante del Monte Castellino: allunga il percorso di circa 30’. Continuiamo a seguire il sent. 00 di crinale, che ora si innalza verso il massiccio M. Castellino, per molti versi una sorta di anticima del M. Prado, un lungo altopiano sporgente sulle valli di Soraggio e d’Ozola. Una ripida e continua salita tra brughiera a mirtillo e pietraie, tra pascoli e angoli rupestri, ci porta infine ad un’anticima a quota 1919 m, che separa sul versante toscano le valli del Serchio di Soraggio e del suo affluente Fiume a Corte. Un altro tratto di crinale meno acclive porta infine in vetta al M. Castellino (0.30), costituita da alcune sommità vicine, la più alta delle quali si trova al bordo SE dell’altopiano (1952 m secondo la CTR, 1949 m secondo l’IGM 611022E-4901702N).
Curiosamente nella precisa mappa del 1690 circa (Baldelli-Fontana, commissionata dal duca di Modena Francesco II) il monte viene detto “Alpe dei Contrarj”, toponimo suggestivo ma mai più ripreso (“M. Castellina” nella carta IGM 1878). Da qui ci si accorge che il versante opposto scende ben poco, ma prosegue in un largo crinale ondulato, modellato dai ghiacciai, che nella sottostante conca della Bargetana sono durati più a lungo che in altri versanti del crinale. Ci si avvia quindi lungo le conche e doline rivestite da vegetazione caratteristica delle praterie di alta quota, e sui dossi che si susseguono. Quando calano le nuvole e il nebbione impedisce la vista dei segnavia, questo è uno dei tratti di crinale più difficili da seguire. Nel giro di un anno tra 2005 e 2006 due tragedie colpirono la montagna, dapprima un aereo da turismo si schiantò contro il crinale del monte, poi una nevicata tardiva con forte gelo nel marzo 2006 sorprese una coppia di escursionisti toscani che rimasero vittime di ipotermia. Anche se dolce e invitante, il M. Castellino resta pur sempre una barriera del crinale a quasi 2000 m., e l’antico nome, i “Contrarj”, non depone a suo favore…
La dir. resta per oltre 1 km verso SE, e quando si cala su un largo ripiano a quota 1900 m c., si trova subito dopo una strozzatura dello spartiacque, in cui i valloni contrapposti dei due versanti si avvicinano: siamo alla Sella del M. Prado 1903 m 611848E-4901086N (0.10-0.40).
Dalla Sella del M. Prado si imbocca a sinistra verso N il sent. 631, che discende rapidamente nel vasto anfiteatro glaciale della Bargetana, tra brughiera a mirtillo e prateria residua dopo decenni di abbandono da parte delle greggi. Ora si sentono talvolta i fischi delle marmotte, introdotte dalla Forestale negli anni ’70. Sul fondo della conca si nota una torbiera sulla sinistra e un lago sulla destra. Ci si dirige verso quest’ultimo fino a transitare presso le rive e sullo sbarramento all’uscita del Lago della Bargetana 1769 m 612108E-4901447N (0.20-1.00), su cui ci innesta sull’it. principale.
Dalla Focerella, seguendo l’itinarario principale, si abbandona il sent. 00 di crinale e si scende a sinistra (nuove tabelle in legno della GEA). Serpeggiando a saliscendi nella vasta brughiera a mirtillo ai piedi del M. Castellino, si scorre poi tra i contorti faggi del limite arboreo (sent. 633).
Era l’importante direttrice dei pastori di Soraggio verso i pascoli della Bargetana e la sella di Lama Lite. I soraggini ebbero infatti per secoli in “affitto” i pascoli dell’alta val d’Ozola e alta val Dolo ai piedi del M. Prado, allora chiamato Monte Crosta, mentre Alpe Faggiola era denominato tutto il versante settentrionale. Alpe significava infatti non monte ma “alpeggio”, pascolo, che comprendeva tutto uno o più versanti di un monte o di una catena. In questo senso abbiamo sulla carta Baldelli (fine XVII sec.)“Alpe dei Contrarj” per l’attuale M. Castellino, mentre il toponimo Bargetana è comparso sulle carte solo a fine XIX sec. e pare sostituire l’antica Alpe Faggiola: mentre questa derivava dai faggi il toponimo Bargetana sembra probabile derivi dal mirtillo: infatti “baggi” sono i mirtilli nella parlata locale di entrambi i versanti.
Raggiungiamo così il Rif. Bargetana 1731 m 611677E-4902003N (0.30-3.30).
Costruito a metà anni ’70 dalla Forestale come base per un progetto sperimentale per la modernizzazione dell’allevamento ovino dei pastori garfagnini, con alloggio e caseificio, non entrò mai in funzione: mentre la burocrazia si dilungava con il passaggio delle competenze alla Regione Emilia-Romagna, pastori e greggi scomparvero quasi del tutto negli stessi anni. Gli usi civici di Soraggio, in Garfagnana, quindi Toscana, hanno però recentemente riottenuto la proprietà dell’intero versante della Bargetana, lago, boschi e rifugio compresi, rifacendosi al contratto del 1451 con i Duchi estensi di Ferrara (cui succedettero i Savoia, poi la Repubblica e infine la Regione) che affittava loro tutto il versante N del Prado (Alpis Fazola) in cambio di un orso vivo all’anno, poi divenuto cinghiale e infine ducati, lire ed euro …. Nei primi anni ’80 l’edificio fu convertito in rifugio dalla Provincia di Reggio, ed attrezzato per l’uso in autogestione da parte di gruppi. Ma i criteri di costruzione erano pensati per la sosta estiva dei pastori, e le grandi stanze non permisero un utilizzo fuori dai tre mesi estivi. Da alcuni anni viene anche gestito come gli altri rifugi con servizio cucina da giugno a settembre.
Prendiamo la strada forestale verso destra (in dir. E), percorrendo la base del circo glaciale della Bargetana e quindi i fianchi ripidi del versante NE del M. Cipolla. Invece di percorrerla interamente fino al valico di Lama Lite, suggeriamo una deviazione assai interessante: dopo 450 m dal rifugio, a 1736 m dopo alcuni ruscelli, imbocchiamo a destra un sentierino in salita che rimonta una valletta rivestita a mirtillo. Se non lo trovate, dopo altri 200 m sale a destra un secondo sentiero più visibile. Sbucando su un pianoro al fondo di un anfiteatro di monti, si segue la traccia tra mirtilli e ginepri striscianti, sfiorando una conca a torbiera e notando infine a sinistra un’altra conca ai piedi del M. Prado. Ci si dirige verso quest’ultimo fino a transitare presso le rive e sullo sbarramento all’uscita del Lago della Bargetana 1769 m 612108E-4901447N (0.10-3.40).
Sul fondo dell’anfiteatro, dove l’ultimo ghiacciaio dell’Appennino tosco-emiliano si estinse attorno ai 12.000 anni fa (ma nevai perenni si alternarono nelle fasi climatiche più fredde fino alla piccola era glaciale “napoleonica”), restarono laghetti che nei millenni si sono colmati di detriti trasformandosi in torbiere di grande interesse naturalistico. La più grande fu ritrasformata artificialmente in lago nei primi anni ’70, nell’ambito di un ambizioso progetto di valorizzazione dei pascoli. Ma terminata l’opera, con la riserva d’acqua del lago, la costruzione di un rifugio-alloggio per i pastori, spietramento di pascoli e canalizzazione di acque stagnanti, i pastori scomparvero nel giro di pochi anni. Resta un laghetto sul cui fondo si distinguono i meandri dei ruscelli che avevano riempito la conca, e un rifugio ora dedicato agli escursionisti. Poco a SE e poco a W del lago si ritrovano alcune delle torbiere originarie, ora tutelate strettamente da riserva integrale per preservare una storia geomorfologia e vegetazionale di altissimo interesse scientifico. A proposito, sconsigliamo un bagno ristoratore nelle acque gelide del lago: una targa ricorda il forte civaghino Giacomo Gaspari, gestore del centro ippico dell’Abetina Reale e qui annegato nel 1985.
Scendendo a N del Lago lungo i segnavia del sent. 631 (un sentiero scende a sinistra subito oltre la piccola diga, un altro parte dalla lapide per Giacomo Gaspari, scavalcando la morena che chiude la conca a valle. In ogni caso scendiamo in un piccolo anfiteatro ricco di sorgentelle e torniamo sulla strada forestale, tracciata nel 1977 a servizio delle opere forestali. Si segue verso destra in leggera salita rendendosi conto di quanto brutalmente sia stata tagliata sul versante N del ripidissimo M. Cipolla, anticima del M. Prado. Una fascia di pino mugo (tra l’altro estraneo alla vegetazione autoctona in tempi storici) è stata impiantata per cercare di frenare il naturale movimento di rocce e terra sulla strada che ha interrotto il millenario equilibrio del versante. Si sbuca improvvisamente sul valico di Lama Lite 1771 m 612959E-4901789N (0.20-4.00), che separa le valli dell’Ozola e del Dolo.
Anticamente denominata Lama dei Caprai, questa sella pascoliva era importantissima per l’economia dell’allevamento ovino, che pur documentato qui solo dal XV sec., era probabilmente praticato fin dalle genti liguri. Da una mappa del XV sec,. pare che qui vicino vi fosse una “guaita”, postazione di guardia, detta “guaita Fazolis” (Alpe Fazola o Faggiola” era denominato il massiccio del M. Prado). Era forse giustificata con l’importanza dei pascoli e la convergenza di confini tra le varie comunità di tre valli (dominate allora da feudatari diversi, tra cui i Fogliani, probabili gestori della postazione, e i Dallo), oltre ai vicini lucchesi in Garfagnana. La dedizione di tutti i territori agli Estensi durante lo stesso secolo fece venire probabilmente meno la necessità della torretta di guardia. Ma trovandosi comunque sul confine tra i pascoli assegnati a Soraggio in Garfagnana, a Gazzano in val Dolo e ad Asta in val Secchiello, la sella fu chiamata poi comunemente Lama della Lite, per le secolari contese di confine che impegnarono a più riprese ufficiali, agrimensori e notai mandati dal Duca d’Este. Il valico è dominato dal ripido M. Cipolla, anticima del M. Prado; verso E scende la val Dolo, chiusa a S dal Sassofratto e dal M. Giovarello, a N dalla catena Vallestrina-Ravino; in fondo spunta il massiccio del M. Giovo e ancora più lontano la catena Libro Aperto-M. Cimone. Ad W, dietro la val d’Ozola dominata dal Cusna si susseguono il M. Sillano, il Cavalbianco, La Nuda, l’Alpe di Succiso e in poche giornate limpide si stagliano lontane le vette del M. Rosa e del Cervino.
Si volta a sinistra sullo stradello diretto al Rif. Battisti, ma si scende dopo pochi metri a sinistra su sentiero ben evidente (segnavia 605), che aggira il colle con la bandiera del rifugio sul versante W.
Sul fondo della valletta si immette da sinistra un sentierino non segnato proveniente dalla strada della Bargetana, che permette di evitare il passaggio per Lama Lite, attraversando il vecchio tratturo per il fondovalle Ozola tracciato negli anni ’60 per collegare le due valli e i ripiani su cui si trovarono resti di selci del mesolitico (9000-7000 anni fa), quando il crinale era colonizzato da querce e il clima più caldo e secco dell’attuale. Recentemente si sono riapertie le ricerche archeologiche.
In breve si raggiunge a mezza costa il Rifugio Cesare Battisti 1751 m 612835E-4902132N (0.10-4.10).
Il più antico e frequentato rifugio dell’Appennino reggiano fu costruito nel 1925 come rifugio dall’UOEI (Unione Operai Escursionisti Italiani) di Reggio Emilia, poi fu ceduto alla sezione reggiana del CAI per non farlo incamerare dal Dopolavoro fascista. Durante la guerra fu utilizzato dalle formazioni partigiane, cannoneggiato e incendiato tra l’8 e il 9 agosto 1944 durante le rappresaglie nazi–fasciste. I ruderi furono abbattuti per la ricostruzione da parte del CAI di Reggio Emilia nel 1968 e nel luglio 1970 fu inaugurato il nuovo rifugio. Raggiunto poi da strade forestali di servizio, fu dotato di radiotelefono nel 1979 e di celle fotovoltaiche per l’energia elettrica nel 1983. Tra il 2005 e il 2007 è stato ampliato con una nuova ala verso monte, che favorisce la possibilità di accoglienza. Oltre a fungere da posto–tappa per la Grande Escursione Appenninica, il Garfagnana Trekking e il Sentiero Spallanzani, richiama escursionisti da molti sentieri d’accesso, e spesso viene raggiunto in mountain–bike, a cavallo o con gli sci da escursionismo attraverso le strade forestali; costituisce un ottimo punto d’appoggio per lo scialpinismo e per l’alpinismo invernale e le escursioni ai gruppi del Monte Prado e del Monte Cusna. L’apertura è in genere continuativa tra giugno e settembre, nei fine settimana del resto dell’anno. In caso di chiusura resta aperto uno spazioso locale invernale in legno con 8 posti.
Si prosegue verso N, sulla stradella di accesso al rifugio, ma dopo 100 m essa volta a destra, mentre il nostro sent. 615 prosegue diritto risalendo il crinale marnoso che separa le vallate dell’Ozola e del Dolo.
Queste rocce tenere (argilliti e marne appartenenti secondo le più recenti classificazioni alla Mélange delle Tagliole) risalgono ad oltre 70 m.a. e costituiscono la base delle più recenti (sui 25 m.a.) arenarie di M. Modino. Queste formano la catena del M. Cusna-M. Ravino, separata dal crinale (costituito dalle coeve arenarie Macigno) proprio da questo crinaletto dove affiorano come da una finestra rocce più antiche, deformate dalle spinte dell’orogenesi appenninica. La scarsa resistenza di queste argille e marne le ha rapidamente rese preda dell’erosione dovuta agli agenti atmosferici e ai ghiacci delle ere glaciali, e la depressione tra le due catene di arenarie più resistenti si è approfondita. Ancora oggi si notano i due versanti erosi da profondi ventagli di ruscellamenti. Avvicinandosi però al valico del Passone si entra in un vasto pianoro erboso con una dolce valletta a sinistra, occupata da un laghetto: si tratta dei un ramo sorgentizio dell’Ozola. Se si guarda a valle del laghetto si nota che poco dopo la valletta sprofonda in un profondo “canyon” scavato dai ghiacci nelle spettacolari stratificazioni di arenarie, marne e argille che si succedono. Con molta attenzione si può scendere per un po’ dentro la valletta, detta “le Costette”.
Raggiunto il laghetto del Passone 1839 m 613399E-4002833N, (0.20-4.30), in realtà posto poco prima del Passone vero e proprio, e in genere asciutto in estate, si attraversa a sinistra il ruscello emissario tralasciando il sent. 607, diretto al Cusna, che punta al grande dosso erboso della Piella (che significava “abete”, ma da tempo questo si è estinto in questa zona).
Nello stesso punto parte invece a sinistra il sent. 623, che procede a mezza costa sul versante S della Piella e del Cusna, percorrendo vaste praterie a pascolo. Superati alcuni ruscelli, notiamo due ricoveri in pietra ormai rari e ben conservati, fatti dai pastori decenni (o secoli) fa per sorvegliare le greggi durante la notte, contro i lupi e gli uomini malintenzionati, che spesso potevano essere ben più preoccupanti…Ora proprio qui è stato filmato qualche anno fa un branco di alcuni lupi, che si sono sosituiti ai loro secolari persecutori. I ricoveri paiono massi di pietre accumulate, ma visti da vicino mostrano il piccolo pertugio dove un solo pastore poteva sdraiarsi, sotto le larghe piagne di arenaria accavallate.
Si aggira un costone e con una discesa il sentiero oltrepassa il profondo Fosso Secco. Segue un lungo altopiano sospeso tra il crinale delCusna e le profonda val d’Ozola, detto Costa delle Veline e costellato da laghetti e pozze, formati dall’erosione glaciale sul versante a “franapoggio” della dorsale rovesciata delle arenarie di M. Modino che costituiscono la catena del Cusna.
Lungo i dossi morenici intervallati da piccole conche lacustri, attraversiamo questa bellissima prateria ondulata sospesa tra il crinale del Cusna e la profonda valle d’Ozola con la sua fitta faggeta, su un percorso a torto poco frequentato, tra decine di tane di marmotte, introdotte dalla Forestale negli anni ’70. L’ultimo bacino, detto Lago di Cusna sulle carte, pare veramente poco adeguato a tanto onore, trattandosi di piccola conca con acqua solo al disgelo e in caso di piogge prolungate. E anche gli altri sono simili, piccole conche scavate dal fianco del ghiacciaio, uno dei pochi ambienti di morfologia glaciale sopravvissuti su un versante esposto a meridione. La vegetazione erbacea è in continua evoluzione: le specie nitròfile legate alla permanenza delle greggi (romice, spinacio selvatico, lampone) sono in regresso, come le specie pregiate per il pascolo, ormai soffocate da quelle evitate dagli ovini, come il “Veratrum album”, l’erba velenosa per eccellenza che probabilmente ha dato nome al pianoro (chiamata “le velene” e divenute Veline sulle carte per i numerosi fraintendimenti da parte di topografi forestieri), e il “Brachypodium genuense”, lunga e coriacea graminacea a ciuffi. Un tempo era incendiato dai pastori con una pratica a lungo combattuta dalle guardie forestali, fino ad estinzione del problema alla radice per abbandono di un contendente.
Terminato il ripiano morenico, si lascia a destra a quota 1795 m 610841E-4904536N il sent. 627, ripidissimo, per la vetta del Cusna, che ci sovrasta imponente. Il nostro sent. 623 scende leggermente attraversando alcune pietraie post-glaciali. Entrando in una macchia di faggi, si lascia di nuovo ad un bivio successivo 610312E-4905037N lo stesso segnavia 627 a sinistra per la Presa Alta: si tratta di una discesa continua e sostenuta, ma sempre su sentiero segnato, da qui in meno di 1 h si raggiunge la strada forestale e a destra la Presa Alta, Ma è molto, ma molto più bello e panoramico proseguire diritto sul 623, che procede in un lungo mezza costa sui fianchi occidentali del Cusna, di fronte al M. Sillano e al Cavalbianco (1.00-5.30).
Il tracciato a mezza costa ricalca tratturi di greggi che da Monteorsaro pascolavano i versanti S del Cusna, la Costa delle Veline, tuttora in Comune di Villa Minozzo nonostante siano in val d’Ozola. La tradizionale divisione dei pascoli fu più forte della geografia e delle barriere montuose nel determinare i possessi dei pascoli e la suddivisione territoriale. Il percorso aggira la testata delle vallette del Fosso Lavacchiello e del Lama Cavalli, attraversando lame argillose e marnose di colori variabili, dal grigio scuro al verdastro, al rosso, al grigio chiarissimo, in base ai minerali che le compongono. Sono stratificazioni che costituiscono la base delle arenarie del M. Cusna (dette di M. Modino), molto più tenere ed erodibili. Anche per camminarvi sopra non sono molto comode: sbriciolandosi dopo ogni inverno, tendono ad assottigliare la traccia del sentiero, non più rifatto da centinaia di zoccoli ovini ogni primavera… A mezza costa tutto il percorso si snoda poco al di sopra del limite del bosco, confine non naturale, ma abbassato artificialmente fin dalla preistoria per guadagnare pascoli, prima con il fuoco poi con il taglio raso di abeti e faggi.
Sempre seguendo i segnavia si supera una costa panoramica a 1736 m 610018E-4905219N, sullo storico confine tra i pascoli di Monteorsaro in Val d’Asta e quelli di Casalino in val d’Ozola, Si supera poi la bellissima conca di origine glaciale detta Lama dei Cavalli, sospesa ai piedi del Cusna e ingombra dei grandi massi da esso precipitati nelle fasi post-glaciali. Si scende quindi a varcare i vari ruscelli della testata del Fosso Lama Cavalli, ponendo attenzione all’attraversamento di vari impluvi detritici, a volte potendosi aiutare con paletti metallici infissi nelle argille. Una risalta breve ci porta su pascoli aperti a quota 1728 m 610412E-4905807N, su un costone tra le vallette del Lavacchiello e del Lama Cavalli (0.30-6.00).
Qui allora lasciamo il sent. 623 e imbocchiamo i segnavia del sent. 635A, che devia a sinistra in discesa in dir. NW sull’antico sentiero di accesso ai pascoli proveniente da Casalino, marcato da alcuni grandi faggi secolari che venivano lasciati sul tratturo per dare sollievo al bestiame e a mo’ di segnavia. Scendendo nella valletta del Lavacchiello, lo si guada a 1579 m 610010E-4906231N e si prosegue sul versante destro della valletta, su larga mulattiera che in breve risale sempre a NW sbucando trra faggi secolari sui Prati di Sara 1634 m (0.20-6.20).
Il più evidente e maestoso dei piccoli altopiani che nell’alta Val Secchia sono impostati sugli strati di arenarie del Cervarola, prendono il nome da un personaggio tra storia e leggenda, una governante, e si dice concubina, di uno dei marchesi Bernardi di Piolo, che possedettero Casalino da metà XVII sec. a fine Settecento, e che fu ricompensata con questi vasti pascoli. Dominati dai dossi arrotondati del Bagioletto e del Cusna e affacciati sui profondi Schiocchi dell’Ozola, la forra più maestosa e profonda della valle, i Prati di Sara sono uno dei luoghi più affascinanti della valle del Secchia, soprattutto in primavera e in autunno, quando i colori della fioritura e del fogliame dei faggi secolari contrastano con il cielo e i laghetti luccicanti.
Ora si deve imboccare il sent. 635 che parte all’estremità S della conca, guardando a sinistra preso il piccolo Lago del Caricatore. Un palo segnaletico, ma a volte abbattuto, segnala l’imbocco nella faggeta del sentiero. Presto si scende serpeggiando nella valletta del Rio Lavacchiello, che si segue poi lungamente sul versante destra idrografico, perdendo costantemente quota. D’improvviso ci accostiamo al bordo del dirupo degli Schiocchi dell’Ozola, e continuiamo a discendere ora ripidamente su mulattiera sulle stratificazioni delle arenarie del Cervarola.
Percorriamo un esile cresta che di fronte a noi s’innalza nel dosso roccioso spettacolare, detto Schiocco Nero. Detto così probabilmente per la presenza da sempre sui suoi ripidi dirupi di una colonia di abeti bianchi, mai tagliati dall’uomo per la loro posizione, ma che al confronto con il verde o il giallo di faggi, aceri e frassini intorno, appaiono tutto l’anno come macchie scure.
Raggiunto il piccolo valico ai piedi dello Schiocco Nero, il sentiero scende a sinistra di esso, nella valletta del Lavacchiello. Dopo un bel tratto in leggera discesa, si inizia a calare molto rapidamente nella faggeta ad alto fusto, facendo attenzione con terreno bagnato. A sinistra si possono notare i salti d’acqua delle cascate, che quasi asciutte in estate offrono il meglio dopo le piogge autunnali o allo sciogliersi della neve tra maggio e giugno. In un punto della discesa si possono vedere tutte e 5 le cascate, due sul Canale del Lavacchiello, tre sul prospiciente Fosso Lama Cavalli. Al termine della dura discesa si guada il Lavacchiello e ci si porta ad attraversare il Lama Cavalli ai piedi della cascata più spettacolare e accessibile, che fa parte delle cascate del Lavacchiello 1280 m 609107E-4905686N (0.40-7.00), e come tali denominate anche sulla carta ufficiale IGM.
Quelle che vediamo sono solo i salti delle cascate superiori, mentre le più alte sono i due altissimi salti che il Lavacchiello compie più a valle, per precipitare nell’Ozola con un dislivello di circa 200 m. Ma dal 1920 tra le cascate alte e le basse l’acqua viene deviata nel lago di Presa Alta a fini idroelettrici, quindi le cascate inferiori sono visibili solo quando la portata supera la capacità del tubo di presa, generalmente tra aprile e maggio, allo scioglimento della neve, o in caso di piogge consistenti autunnali, Inoltre la cascate sia alte che basse sono a volte ben ghiacciate in inverno, offrendo spettacoli naturali d’eccezione quanto difficili da osservare, richiamando anche qualche appassionato di alpinismo su cascate ghiacciate. Gli strati di arenaria che sono incise dai due torrenti sono costellati da antichi gusci di molluschi di fondali marini e spiagge di 20 m.a., l’età della formazione del Cervarola, nella facies denominata “membro degli Amorotti o del Dardagna”.
Dopo una doverosa sosta, si riprende il sent. 635, che costeggia il Lavacchiello, lasciando le prese in basso a destra. Ci si affaccia all’improvviso sulla profonda val d’Ozola, intuendo a destra il salto quasi sempre asciutto delle cascate inferiori. Il tracciato ora segue il sentiero di ispezione delle prese costruito seguendo le tubazioni in galleria. La discesa avviene con ripide serpentine, protette da cavo metallico, fino ad attraversare uno scivolo di detrito marnoso al piede di un alta parete, portandosi infine al fondovalle. Ora si tratta solo di guadare il torrente Ozola su grandi massi, per riprendere a salire ripidamente a tornanti all’edificio dei guardiani della diga e infine al parcheggio della Presa Alta (0.20-7.20).
In questa gola fu decisa nel 1920 la costruzione di una diga con l’invaso più alto del complesso idroelettrico: si può seguire per poco la strada a destra e superare la grande casa dei guardiani, oltre cui si inizia a intravedere tra i faggi il piccolo lago di un colore blu intenso, fino a raggiungere il ponte sull’Ozola a monte dell’invaso, dove un fonte e una sbarra indicano l’inizio dell’alta val d’Ozola. Mentre durante la costruzione della diga e delle opere connesse solo la mulattiera e la ferrovia “decauville” vi giungevano, negli anni ’60 fu costruita la strada forestale che da Ligonchio per Tarlanda e il Passo del Gatto raggiunge tuttora, persino asfaltata quasi del tutto, la sbarra che riserva solo per lavoro l’accesso all’alta valle. Allo sbocco del sentiero sulla strada, si raggiunge il vicino parcheggio panoramico, con tettoia e pannello naturalistico sul lupo.
Seguendo la strada verso valle e aggirando lo sprone roccioso che la ferrovia superava in galleria appena più in basso, dopo pochi minuti 608427E-4905106N si trova a destra in discesa il sentiero 635, che tra colonnari tronchi di faggio scende ad attraversare il Fosso del Rimale presso la Presa di Mezzo o del Rimale 1230 m (0.10-7.30).
Lasciato un sentierino segnato che risale sulla “decauville” soprastante (se per caso vi fosse piaciuta così tanto da volerla ripercorrere anche al ritorno…), il 635 inizia a scendere rapidamente sul versante sinistra idrografico della valle, a tratti un po’ scosceso per continui smottamenti del versante, e se siete fra aprile e maggio, con le cascate di fronte eccezionalmente piene d’acqua per il disgelo, e non avete la vista ostacolata dal fogliame ancora in gemme, godrete di uno spettacolo che era abituale solo prima del 1920…In fondo alla discesa si segue il fondovalle e si raggiunge infine la Presa Bassa 928 m 608313E-4906510N (0.40-8.10), l’ennesima captazione, destinata ad alimentare il bacino di Ligonchio e la centrale di Predare.
Da qui si segue il sentiero di controllo della condotta sottostante, che in piano lungo la valle si dirige verso la centrale di Ligonchio, sistemato anni fa anche per poter ospitare i mezzi dì deambulazione per disabili. Si traversano strati di arenaria, con molte infiltrazioni d’acqua, che rendono sempre umide le pareti, che ospitano così alcune specie botaniche caratteristiche. Tra maggio e giugno potete ad esempio vedere fiorita la pinguicola, piccolo fiore viola, con le foglie viscose che catturano e assorbono piccoli insetti (chiamarla carnivora sembra eccessivo…). Oppure notare tra il greto del fiume il raro merlo acquaiolo.
Lasciato il corso del fiume, il sentiero attraversa un lembo di castagneto, fino a sbucare sulla provinciale presso la fonte dello Scodellino, di fronte al parcheggio della Centrale di Ligonchio (0.20-8.30).
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